Luca Gos

Avvocato in Udine

COME DEVE COMPORTARSI IL PET OWNER AI TEMPI DEL CORONAVIRUS

Come quelle degli esseri umani, anche le esigenze dei nostri amici a quattrozampe sono state tenute in dovuta considerazione nella legislazione d’emergenza che il Governo italiano ha varato per il contenimento del contagio.

Vediamo nel dettaglio di cosa stiamo parlando.

Con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’11 marzo 2020, come noto, è stata disposta la chiusura, su tutto il territorio nazionale, delle attività di ristorazione (bar, pub, pizzerie, ristoranti, pasticcerie, gelaterie etc.), fatta salva la possibilità di consegna a domicilio, e di tutti i negozi, con eccezione di quelli rientranti nelle categorie espressamente previste, come quelli che si occupano della vendita di prodotti per animali che continueranno a rimanere aperti. I proprietari di animali d’affezione non dovranno quindi preoccuparsi che i propri amici a quattrozampe rimangano sprovvisti di sostentamento, in quanto verrà garantita la produzione dei mangimi e l’approvvigionamento dei singoli esercizi che si occupano di dette vendite.

Con il decreto dell’11 marzo sopra menzionato, il Governo ha altresì disposto che le misure di cui all’art. 1 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell’8 marzo 2020 vengano estese all’intero territorio nazionale e, pertanto, le misure adottate per quella che era stata identificata come “zona arancione” verranno applicate in tutto il Paese. In particolare, ricordiamo che è stato disposto di “evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita salvo che per gli  spostamenti  motivati  da comprovate esigenze lavorative  o  situazioni  di  necessità  ovvero spostamenti per motivi di salute”.

I proprietari di cani e di altri animali d’affezione si domandano quindi cosa sia loro consentito rispetto a quelle che sono le necessità e i bisogni dei propri pets.

In particolare, per quelle che sono le esigenze del cane, i pet owners sono giustificati nell’uscita con l’animale al fine di garantire allo stesso l’espletamento delle proprie funzioni fisiologiche. Un tanto è confermato anche dallo stesso Ministero dell’Interno che ha avuto cura di precisare che l’uscita all’esterno dalla propria abitazione con il cane è autorizzata: “…per le sue esigenze fisiologiche, ma senza assembramenti e mantenendo la distanza di almeno un metro da altre persone”. Quindi sì alla passeggiata con il cane nei limiti della necessità di garantire all’animale le sue esigenze fisiologiche ed etologiche.

Bisognerà altresì ritenere consentito il recarsi dal veterinario con il proprio pet in caso di urgenti cure mediche non differibili. Va ricordato infatti che gli ambulatori veterinari resteranno aperti per apprestare ai nostri amici a quattrozampe tutte le cure improrogabili a tutela della loro salute. Saranno invece da ritenersi rimandate tutte le prestazioni mediche non urgenti.

Pur in ragione dei chiarimenti alle disposizioni del Governo, laddove si è chiarita la liceità di poter uscire dalle mura domestiche per consentire all’animale l’espletamento dei propri bisogni fisiologici e l’apprestamento di cure sanitarie non differibili, si vuole in questa sede sottolineare che tali prerogative non devono diventare in alcun modo una scusa per violare le disposizioni dettate dal dpcm, utilizzando l’uscita con il cane come una scusa al fine di aggirare gli obblighi di legge.

Relativamente alle prestazioni cliniche da rendersi in favore degli animali, a volte, da parte del proprietario non sempre è facile l’individuazione di ciò che rappresenta un motivo d’urgenza e ciò che non lo è. In tali casi, il suggerimento resta comunque quello di contattare telefonicamente il proprio veterinario di fiducia onde valutare con lo stesso la gravità del problema e le modalità con cui risolverlo, anche al fine di non affollare gli ambulatori, il che vanificherebbe le misure sanitarie di mantenere le distanze tra le persone.

In un periodo di grave emergenza sanitaria come quello che sta vivendo il nostro Paese, così come si rimette alla coscienza di ciascun proprietario il dovere di accudire con ogni riguardo i propri animali d’affezione (che, come la comunità scientifica ci ha confermato non trasmettono il Covid-19), non può che essere rimessa alla coscienza di ciascun detentore la valutazione della necessarietà delle uscite e la misura delle stesse nonché dell’urgenza della visita ambulatoriale, assumendo il proprietario su di se’ la responsabilità delle scelte operate, anche in relazione alla tipologia e alle necessità specifiche del singolo animale, che saranno diverse in ragione delle dimensioni, della razza, del sesso e delle singole e specifiche caratteristiche etologiche.

Non sempre si può installare il climatizzatore

La problematica relativa all’installazione degli impianti di climatizzazione  (in particolare i “motori”) riguarda in special modo gli immobili in condominio e quelli nei centri storici.

 Sarà necessario, infatti, rispettare alcune regole tra cui:

–> non ledere il cosiddetto decoro architettonico dell’edificio; la giurisprudenza è solita affermare che per decoro “ai fini della tutela prevista dall’art. 1120 cod. civ., deve intendersi l’estetica dell’edificio, costituita dall’insieme delle linee e delle strutture ornamentali che ne costituiscono la nota dominante ed imprimono alle varie parti di esso una sua determinata, armonica fisionomia, senza che occorra che si tratti di edifici di particolare pregio artistico” (Cass. civ. Sez. II, 14 dicembre 2005, n. 27551). In sostanza sarà opportuno installare le unità esterne in parti dell’edificio poco visibili;
–> il divieto di installare impianti che, con il loro rumore, possano dare fastidio ai vicini;
–> in caso di montaggio non sul balcone ma sulla facciata dell’edificio, l’obbligo di rispettare le distanze minime rispetto agli altri balconi o finestre; inoltre il condomino che vorrà installare un condizionatore sulla proprietà condominiale (i “motori”) dovrà garantire il pari uso della cosa comune a tutti i condomini e garantire la sicurezza e la statica dell’edificio.

Giova inoltre ricordare  come il semplice regolamento condominiale non può vietare di installare un sistema di condizionamento, a meno che non si tratti di un regolamento cosiddetto “contrattuale” (cioè predisposto dal costruttore e riportato nei singoli atti d’acquisto) oppure nel caso in cui ci sia stata in tal senso una votazione all’unanimità dei condomini.

Ulteriori limiti possono essere previsti dai regolamenti edilizi comunali, a titolo di esempio il regolamento del Comune di Udine fa divieto di “installare apparecchi di climatizzazione a vista sul fronte principale dell’edificio direttamente prospiciente spazi pubblici”.  Ciò vale in particolar modo per gli edifici in centro storico che nella gran parte dei casi danno direttamente su piazze e spazi pubblici.

Assistenza ai genitori anziani e successioni ereditarie

Capita a volte che se ci siano famiglie con più fratelli dove solo uno di essi presta assistenza ai genitori ormai anziani. Potrebbe succedere che questo fratello alla morte del padre o della madre chieda un riconoscimento per il suo lavoro come quota maggiore sull’eredità. E’legittimo?

La risposta è in senso negativo, tale pretesa non ha fondamento giuridico, in quanto la cura del genitore anziano è parte fondamentale dell’obbligo di assistenza che incombe sui discendenti in favore dei propri genitori e non corrisponde dunque ad una prestazione suscettibile di corrispettivo economico. Diversamente sarebbe se il genitore con disposizione testamentaria disponesse della quota di legittima a favore del figlio che ha prestato assistenza, in tal caso l’attribuzione sarebbe pienamente legittima.

Quando la cura del genitore avvenga ad opera di uno solo dei figli quest’ultimo potrà chiedere agli altri fratelli di prestare analoga assistenza o, in alternativa, di versare quanto è possibile in base alle disponibilità di ciascuno per ottenere da terzi la prestazione di assistenza che personalmente non si può ( o non si vuole ) eseguire. Nell’ipotesi in cui alla morte del genitore siano state anticipate, poi, da un solo figlio le spese per il ricovero del genitore in ambito ospedaliero e/o assistenziale, ogni spesa, anche se pagata da un solo figlio, dovrà essere ripartita secondo le quote di ciascun erede.

In conclusione nel caso in cui l’accudimento del genitore venga fornito spontaneamente dal figlio, costui non potrà pretendere dagli altri eredi un valore economico corrispondente allo sforzo profuso nella cura dello stesso, proprio in quanto ciò corrisponde ad un obbligo di legge che è stato spontaneamente adempiuto.

Quando i nonni devono provvedere al mantenimento dei nipoti
Solo in caso di assoluta impossibilità da parte di entrambi i genitori a provvedere ai bisogni basilari dei figli dovranno provvedere i nonni

La Corte di Cassazione civile, con l’ordinanza n. 10419 del 2 maggio 2018, in un giudizio riguardante la possibilità per i genitori di richiedere un contributo economico ai nonni per il mantenimento dei nipoti, ha stabilito il principio di diritto per cui l’obbligo di mantenimento dei figli spetta primariamente ed integralmente ai genitori e solo in via sussidiaria ed eventuale anche agli ascendenti di pari grado di entrambi i genitori, ai sensi dell’art. 316 bis c.c., ed esclusivamente quando questi siano nella assoluta impossibilità di provvedere ai basilari bisogni dei figli.¹

L’obbligo di mantenimento dei figli minori ex art. 148 cod. civ. spetta primariamente e integralmente ai loro genitori sicchè, se uno dei due non possa o non voglia adempiere al proprio dovere, l’altro, nel preminente interesse dei figli, deve far fronte per intero alle loro esigenze con tutte le sue sostanze patrimoniali e sfruttando tutta la propria capacità di lavoro, salva la possibilità di convenire in giudizio l’inadempiente per ottenere un contributo proporzionale alle condizioni economiche globali di cosmi; pertanto l’obbligo degli ascendenti di fornire ai genitori i mezzi necessari affinchè possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli – che investe contemporaneamente tutti gli ascendenti di pari grado di entrambi i genitori – va inteso non solo nel senso che l’obbligazione degli ascendenti è subordinata e, quindi, sussidiaria rispetto a quella, primaria, dei genitori, ma anche nel senso che agli ascendenti non ci si possa rivolgere per un aiuto economico per il solo fatto che uno dei due genitori non dia il proprio contributo al mantenimento dei figli, se l’altro genitore è in grado di mantenerli; così come il diritto agli alimenti ex art. 433 c.c., legato alla prova dello stato di bisogno e dell’impossibilità di reperire attività lavorativa, sorge solo qualora i genitori non siano in grado di adempiere al loro diretto e personale obbligo (Cass. 20509/2010).

In conclusione, l’art. 316 bis c.c. non ha carattere coercitivo e l’onere di mantenimento imposto ai nonni non può costituire un obbligo diretto nei loro confronti ma va inteso come una sorta di aiuto alla famiglia, un sostegno, il cui fondamento risiede nei principi generali di solidarietà familiare e di tutela dei figli che dunque non deve trasformarsi nel principale contributo alla crescita della prole e in una forma di esonero dalla responsabilità genitoriale.

1. Art. 316-bis.
Concorso nel mantenimento. I genitori devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo. Quando i genitori non hanno mezzi sufficienti, gli altri ascendenti, in ordine di prossimità, sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinchè possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli.

Locazioni agevolate, necessaria l’attestazione di rispondenza

La disciplina delle locazioni abitative prevede che le parti possono stipulare contratti a canone concordato, ossia contratti in cui il valore del canone, la durata del rapporto e altre condizioni sono definiti sulla base di quanto stabilito in appositi accordi conclusi in sede locale tra le organizzazioni della proprietà edilizia e le organizzazioni dei conduttori maggiormente rappresentative (articolo 2, comma 3, legge 431/1998).

I criteri generali per la stipula di tali accordi sono stati definiti con il Dm 16 gennaio 2017, le cui disposizioni prevedono, tra l’altro, che “le parti contrattuali, nella definizione del canone effettivo, possono essere assistite, a loro richiesta, dalle rispettive organizzazioni della proprietà edilizia e dei conduttori. Gli accordi definiscono, per i contratti non assistiti le modalità di attestazione, da eseguirsi, sulla base degli elementi oggettivi dichiarati dalle parti a cura e con assunzione di responsabilità, da parte di almeno un’organizzazione firmataria dell’accordo, della rispondenza del contenuto economico e normativo del contratto all’accordo stesso, anche con riguardo alle agevolazioni fiscali” (articolo 1, comma 8).

Per i contratti di locazione a canone concordato “non assistiti” (conclusi cioè senza l’intervento delle organizzazioni della proprietà edilizia e dei conduttori), l’attestazione ha effetti anche per il conseguimento delle agevolazioni fiscali (applicazione dell’aliquota ridotta del 10% per la cedolare secca; ulteriore riduzione del 30%, ai fini Irpef, del reddito imponibile del proprietario; corrispettivo annuo per la determinazione della base imponibile per l’applicazione dell’imposta proporzionale di registro assunto nella misura minima del 70% – articolo 8, legge 431/1998).

In questi casi, infatti, l’obbligo di acquisire l’attestazione risponde all’esigenza di dimostrare la sussistenza di tutti gli elementi utili ad accertare, da un lato, i contenuti dell’accordo locale e, dall’altro, i presupposti per accedere alle agevolazioni fiscali.

Infine bisogna ricordare che alcuni accordi locali stabiliscono la possibilità per le parti di autocertificare la rispondenza del contratto all’accordo senza necessità di attestazione da parte delle organizzazioni sindacali firmatarie dell’accordo stesso.

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